Teologia cinese e inculturazione della fede cristiana in Cina

per la presentazione del libro <<inculturazione e dottrina della fede nelle teologie asiatiche, 11-05-2012, sala P. Matteo Ricci

 

Che cosa è la teologia cinese? La teologia cinese, a mio parere, è una teologia nella quale si riflette l’esperienza vissuta della fede in Dio e in Cristo nella situazione socio-culturale cinese e poi si esprime ciò che si riflette in modo sistematico e comprensibile per il popolo che vive nella sua circostanza tradizionale; questa teologia viene pensata e formata per rispondere gli interrogativi sorti nel loro cuore e nella loro cultura fin dall’inizio sul senso della vita umana e per guidare in modo adeguato al contesto socio-culturale e politico questo popolo verso il fine ultimo dell’uomo. La teologia quindi concerne sempre Dio e la sua verità e il rapporto dell’uomo con Dio; infine la teologia cinese è un frutto dell’inculturazione della fede cristiana nella terra cinese. Ma perché ci si occupa della cultura dell’inculturazione delle fede nel percorso dell’evangelizzazione? Non basta la fede? Ciò riguarda la questione del rapporto tra fede e ragione. Ma qui non ci occupiamo di questa questione. Rispondiamo direttamente con le parole del Papa Giovanni Paolo II, che mi piace molto: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”.[1] Da queste parole potremmo dire che l’inculturazione della fede è come l’espressione di un altro tipo di “incarnazione”, cioè incarnare la fede nella cultura. Logicamente possiamo dire anche che il percorso dell’inculturazione della fede è coerente con il percorso dell’evangelizzazione[2] e anzi propriamente lo è.

Ma come fare? Il processo dell’inculturazione della fede non è un processo semplice come una nave che porta le merci dall’Occidente all’Oriente e poi quando si arriva alla destinazione le si sbarca dalla nave e poi le si vende agli altri; così le merci sono diventate degli altri. Il percorso dell’inculturazione della fede è infatti molto più complesso, perché le navi sono viventi, cioè sono i missionari; poi la fede che hanno portato non è soltanto una teoria, ma una fede già inculturata, vissuta e anzi maturata nella loro vita; i missionari predicavano il Vangelo con le loro esperienze vissute, non solo teoretiche.

In questo caso come “sbarcare” la fede da queste navi viventi? Infatti la fede che hanno portato e la cultura in cui hanno vissuto si sono già uniti insieme inseparabilmente! Quindi per i missionari è impossibile staccarsi dalla loro cultura o staccare la loro fede dalla loro cultura. Per conseguenza, secondo me, la prima difficoltà e il primo conflitto che si trovano nel cuore dei missionari nella terra missionaria non sono quello tra la fede e la cultura, ma quello tra le culture, cioè la diversità e in un certo livello l’incomprensibilità dei concetti culturali propri con i quali si esprime la fede. Per questo il Papa Benedetto XVI parla dell’interculturazione e dell’interculturalità nel processo dell’evangelizzazione.[3] Il Papa Giovanni Paolo II trattava similmente: “È necessario che le nuove chiese locali compiano sforzi enormi per passare da questa forma straniera di inculturazione della Bibbia a un’altra forma, che corrisponde alla cultura del proprio paese”.[4]

Alla base di quanto suddetto, vorrei distinguere la missione dell’inculturazione della fede in due processi: il processo dell’inculturazione del Vangelo e quello della dottrina della fede e della teologia, anche se questi due non possono essere separati in modo chiaro ed  assoluto. Il secondo viene criticato fortemente dai protestanti cinesi e dalla maggior parte degli intellettuali cinesi, che hanno preso il titolo famoso di "Cristiani culturali”. Ma diverse volte abbiamo chiesto: voi volete parlare soltanto dell’inculturazione del Vangelo senza considerare gli elementi culturali occidentali, ma esiste un Vangelo senza forma di cultura? Sia quello che avete udito dai missionari sia quello che avete letto, tradotto da un’altra lingua, concernono sempre gli elementi culturali. Infatti almeno per noi cinesi non abbiamo mai visto un Vangelo senza forma di cultura. La buona Novella di Gesù viene rivelata attraverso la lingua e la cultura locale di Gesù, etc..

Per questo secondo processo dell’inculturazione, cioè quello di teologia o tradizione cattolica, penso che è il punto complicato e delicato, perché riguarda una tradizione cattolica più di due mila anni, sviluppata in una certa situazione storica e socio-culturale e riguarda così anche la fedeltà a questa tradizione fondata sulle esperienze del vivere la fede nell’ambiente socio-culturale di un popolo o dei popoli, non di tutti i popoli. Qui ci chiede uno spirito aperto al dialogo interculturale e interreligioso e uno spirito di rispetto agli altri e alle altre culture; intanto ci chiede anche uno spirito aperto ad imparare dagli altri, a cui in Cina ci stiamo preparando.

Per quanto riguarda il processo dell’inculturazione del Vangelo, a mio parere, si trova meno complessità culturale, ma esso ci chiede una profondità di vivere la parola di Dio e di riflettere l’esperienza vissuta con Dio. Poi un punto importante è trovare la rivelazione di Dio, in senso ampio, nella ricchezza della lunga tradizione culturale cinese, che è come un segno dell’universalità del piano salvifico di Dio e dell’amore di Dio verso questo popolo fin dall’inizio. Questo tipo di rivelazione durante il periodo preparatorio della salvezza di Dio ha guidato quel popolo verso la luce eterna che aspettava da sempre.

Credo che questo è anche uno dei passi dell’evangelizzazione che hanno fatto P. Matteo Ricci e altri missionari fin dall’inizio della loro missione in Cina. è necessario quindi riprendere ed approfondire questo lavoro per formare nel momento adeguato o necessario una teologia inculturata che potrebbe guidare la vita spirituale e pratica della fede cristiana e che potrebbe aiutare a risolvere i problemi complicati di vivere o di difendere la fede, sorti nella propria circostanza socio-culturale e politica e che potrebbe arricchire la teologia della Chiesa universale. La teologia comunque deve essere fatta sempre sulla base dell’esperienza vissuta della fede e della sua comprensione. È certo che riguarda anche la forma comprensibile dell’espressione della fede da parte della mentalità del popolo locale, forse diversa dalla forma fatta dei missionari, se è necessario e non per l’egocentrismo culturale.

Per compiere questo piccolo passo, oltre a vivere ed a studiare bene la dottrina della fede, dobbiamo impegnarci anche alla ricerca dello spirito fondamentale, in un certo senso anche divino, nella cultura cinese, come le tracce e la registrazione del contatto di Dio con i padri di questo popolo. La relazione che ho presentato al convegno a Bologna è sul tema "L’esperienza mistica cinese e l’esperienza religiosa" ed è un piccolo passo verso questa direzione ed è anche un tentativo di continuare la strada tracciata dal nostro grande Maestro – padre Matteo Ricci.



[1] Queste parole di Giovanni Paolo II, nella sua Lettera di fondazione del Pontificio Consiglio della cultura (20 maggio 1982), precisano l’importanza dell’inculturazione della fede.

[2] Benedetto Testa, L’evangelizzazione delle culture e l’inculturazione del fatto cristiano, ed. Quaderni di Sacramentaria e Scienze Religiose, Ancona 2010, p. 8.

[3] Joseph Ratzinger, Non esiste Fede che non sia Cultura, in Mondo e Missione, n. 10 (1993)pp. 657-665.

[4] Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II e Documento della Pontificia Commissione Biblica, p. 110.